Vietti: così rivedremo il falso in bilancio
di Nicoletta Picchio
Il Sole 24 Ore
Giovedì 4 marzo 2004
Prima di tutto, la difesa della legge che ha modificato le regole sul falso in
bilancio, approvata nell'autunno del 2001. Ma poi l'ammissione che ebbene
sì, in questo nuovo contesto «la norma si può rivedere», rafforzando le
pene, eventualmente «andando oltre i cinque anni di reclusione previsti
dalla precedente normativa» nel caso di reati che danneggino gravemente
una molteplicità di risparmiatori. «Visto che vengono inasprite le
sanzioni del Codice civile sui reati societari come le false comunicazioni
o l'aggiotaggio, diventa coerente ritoccare il falso in bilancio».
Michele Vietti, Udc, sottosegretario alla Giustizia, ha messo il suo nome sulla
riforma del diritto societario, che contiene anche la revisione delle pene
nel caso di falso in bilancio. L'apertura del ministro Tremonti sulla
modifica della legge, sempre citata da Berlusconi come un fiore
all'occhiello del Governo, non lo ha colto di sorpresa. «L'ipotesi di
ritocco si colloca all'interno della revisione complessiva dei reati
economici, prevista nel provvedimento sul risparmio», dice Vietti. Che
sottolinea l'importanza del contesto: «Quando è nata la normativa sul
falso in bilancio, non era prevedibile un'emergenza come quella attuale»,
continua. «Se si ipotizza un inasprimento delle pene per i reati previsti
dagli articoli 2623 seguenti del Codice civile, tra cui le false
comunicazioni alle società di revisione, il falso in prospetto e
l'aggiotaggio, diventa coerente toccare anche gli articoli 2621 e 2622 che
riguardano il falso in bilancio». Una retromarcia da parte del Governo?
«Difendo l'impostazione data alla riforma, e cioè una proporzione tra la
pena e il danno. Nel vecchio falso in bilancio c'era la reclusione fino a
cinque anni, indipendentemente dal danno», dice Vietti. E spiega: senza
danno, la nuova legge prevede una contravvenzione e si può procedere
d'ufficio; in caso di danno, se la società non è quotata è necessaria una
querela e si arriva fino a tre anni di carcere; se la società è quotata,
si procede d'ufficio e la reclusione prevista è fino a quattro anni.
«Personalmente sono scettico sull'efficiacia delle sanzioni penali in
materia societaria: intervengono quando ormai c'è una situazione
patologica. E la prospettiva del carcere non funziona a sufficienza
nemmeno come deterrente, come dimostra il caso Parmalat, maturato mentre
era in vigore la vecchia normativa», continua il sottosegretario, convinto
che sia più importante il nuovo assetto di governance e di controllo già
introdotto dalla riforma societaria. Tra l'altro, aggiunge, se la riforma
ha ridotto la quantità delle pene per il falso in bilancio, ha creato una
serie di reati concorrenti che già oggi possono portare la detenzione
complessiva a più di 10 anni. «Comunque alcuni aggiustamenti alla norma
sono possibili: per esempio raccordare meglio la proporzione tra pena e
danno e prevedere la stessa procedura, o d'ufficio o a querela, nel caso
di falso senza danno o di società non quotata», continua. Ciò che a suo
parere è indispensabile, è mantenere la proporzionalità tra danno e pena.
E in questa chiave, si potrebbero superare i cinque anni di reclusione se
il falso danneggia in modo consistente una moltitudine di risparmiatori.
La strada è modificare il ddl Tremonti: il Governo interverrà? Secondo
Vietti, è opportuno che sia il Parlamento a decidere. «Il Governo si
limiterà a seguire l'iniziativa parlamentare», continua. Ciò che invece
non lo convince è l'idea che sta maturando, ed è già prevista dalla
riforma dei Ds, di proibire la quotazione in Borsa delle cosiddette
"scatole cinesi" o delle società che abbiamo sede nei paradisi fiscali, in
modo immotivato: «Il mercato libero è fatto di soggetti che entrano ed
escono, non possiamo avviare una nuova stagione autarchica: già la Consob
ha gli strumenti per decidere chi deve essere quotato e chi no,
rafforzeremo i compiti dell'autorità per il risparmio. Un divieto appare
come nostalgico dell'economia "nazionale" del '42».
Nota: il contenuto del documento deve essere interpretato in relazione al periodo
in cui è stato redatto.
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